giovedì, febbraio 22, 2007

Faranno dei gran casini ma sarà "vigoria premortuale"



Tra consultazioni, tavoli permanenti, esplorazioni, ricognizioni, formule, teorie, tesi e ipotesi verranno fuori soltanto dei Casini. Ciò a cui assisteremo sarà l'inganno della "vigoria premortuale". Quella strana fase della morte in cui il moribondo prima dell'ultimo sospiro accenna ad un miglioramento. Ecco cosa ci toccherà sorbirci: un grancasino per una miglioria della morte che certamente da qui a poco verrà.
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mercoledì, febbraio 21, 2007

E' l'ora dei Casini!

Se và bene verrà fuori un Prodi III° od un D'Alema II° per l'emancipazione dalla gerontocrazia e dalle sinistre estreme radicali. Mai e poi mai dopo avere conquistato con le unghie e con i denti oltre che con i brogli questi ci rifanno votare subito. E' proprio l'ora in cui si fanno dei Casini paurosi solo per garantirsi la sopravvivenza in Parlamento .
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giovedì, febbraio 15, 2007

L'avanguardia artistica siciliana buca il video

Da diversi anni Ciprì e Maresco, dalle Tv locali di Palermo, ci hanno presentato uno spaccato di realtà urbana e culturale Palermitana in chiave autoironica, portatrice di una comunicazione che raggiunge livelli inaspettati date le capacità tecniche possedute e le energie profuse. E con orgoglio da fan che qui ripropongono, grazie al lavoro di albiair, vari pezzi che costituiscono la massima esposizione mediatica degli autori.








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lunedì, febbraio 12, 2007

"Dico da Bar"


Commento alla notizia stampa davanti ad una tazzina di caffe tra avventore (a) e barista (b)
a)Ma dico io, chi ce li porta a mettere mani su sta roba?
b)Dicono che era nel programma!
a)Ma non dovevano sistemare i diversi?
b)Dicono che avrebbero sistemato tutti i casi strani, li hanno fatto diventare uguale!
a)Dicono minchiate, io sono un uguale, non c'entravo un cazzo e mi hanno fatto perdere la serenità in famiglia?
b)Dicono che la famiglia normale non si tocca!
a)Dicono stronzate! ma guarda un pò ora mi devo preoccupare se il filippino, quando io sono in Costa Smeralda , di ferragosto non si dichiara via posta convivente con mia suocera, ormai rincoglionita, per non parlare del mio vecchio che si vuole fare la Polacca, questi due mi rovinano la Pacs familiare e successoria!!! ma chi cazzo gli lo ha detto di toccare sta roba ai comunisti, hanno distrutto le famiglie e minacciato la proprietà con "l'esproprio badante" e pergiunta ora devo licenziare le minaccie, loro disocupati a casa loro ed io mi ritrovo con i problemi dei turni con i cognati ed il solito problema: il nonnetto dove lo metto a ferragosto!!!
b) l'avevano detto che miravano a rafforzare i vincoli della famiglia tradizionale
a) Si proprio! se non si risolve mantenendo in nero i clandestini vedrai la moria di vecchietti appena arriva lo scirocco poverini ci fosse almeno l'eutanasia un po di posti in ospedale si rimedierebbero ed invece assisteremo ad una sfilza di stragi familiare.
b) Buona giornata
a) Diciamo!
b) dicono così
a) si! e tu credi ancora alle previsioni meteo? quelli sono sempre stati comunisti vedi raccontano balle da cinquantanni . Ti saluto!
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venerdì, febbraio 09, 2007

All'On. "Caino" che diabolicamente persevera

Alla Camera nella Seduta n° 104 del 06 febbraio 2007, durante la discussione a seguito dell’informativa urgente del Governo sui tragici fatti di Catania e sulle misure per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi, Ella, On. “Caino”, ha perseverato. Già da giovin fanciullo Ella pare esser stato vezzo nel terrorizzare il Paese e la Società, essendo stato un Compagno che sbagliava. Maturando negli anni riconobbe il Suo errore di gioventù e maturò il fermo convincimento che chi ha sbagliato, magari togliendo la vita ad altri, non doveva essere punito con la perdita della propria vita. A ciò ha dedicato la Sua vita da allora ed il Paese Le ha consentito di rientrare nel consesso civile e di più, Ella ha oggi l’onore di essere il Segretario della Camera dei Deputati. Ritorna oggi a perdere l’umanità ed a mostrare il suo lato diabolico, avendo alla Camera fatto del terrorismo nei confronti di parte del Paese e della società e più specificamente nei confronti della Sicilia e della Campania e dei Siciliani e dei Campani. Ella, On. “Caino” è scivolato fin dall’inizio del Suo discorso; essendo i noti tragici fatti avvenuti a Catania e non a Palermo (come da Ella dichiarato). Di lì a poco è stato chiaro che più che uno svarione si era trattato di un lapsus freudiano. Sorvolando sulla mancanza di ruolo della tifoseria palermitana negli scontri, e analogamente sorvolando sulla sensatezza delle opinioni da Ella espresse, molte delle quali peraltro condivisibili, il mio disappunto risiede nel passo in cui Ella esclude dalla generalità del caso nella sua analisi le tifoserie ultras siciliani e campani. Ella ammonisce di come sia errato criminalizzare in genere i gruppi ultras e tanto meno assoggettarli a reati associativi, ma quando argomenta sulle differenze tra il caso Italiano e quello Inglese Ella sbaglia: lì si manifesta la natura del lapsus iniziale. Caineggia mezza Italia, criminalizzandola. Caineggia, tre parole dopo, quando particolarizza nella Sicilia e nella Campania l’unica fattispecie di criminalità ultras-mafiosa. In tale passaggio, Ella smentisce se stesso, volendo far passare il messaggio che al limite condivide l’eventuale applicazione del reato associativo nei confronti di tali tifoserie, magari per completare il disegno di una giustizia binaria per il Sud d’Italia. Supera sé stesso arrivando ad affermare che i minorenni ultras siciliani e campani colgono l’occasione degli scontri negli stadi per dimostrare il proprio valore ai Boss locali. Simili cazzate erano state appena accennate poche ore prima dall’On. Bianco.
Nel suo intervento di oggi ha palesato i limiti mentali e di conoscenza che sono propri della Sua appartenenza politica di oggi e della Sua militanza politica di un tempo. Ella, On. “Caino”, è prigioniero della concezione della questione mafiosa propria di tanti Radicali che -timorosi di affrontarla nella giusta prospettiva - si omologano alla maggioranza dei Suoi colleghi nonchè agli ascari di meridionali natali. Quegli stessi Radicali che ancora oggi, per descrivere cruenti scontri tra due fazioni, usano l’espressione “Corleonesi contro Palermitani”. Ella, On. “Caino”, è prigioniero della concezione del mezzogiorno d’Italia che fu propria di Togliatti che allora ebbe la funesta idea, per contare qualcosa in sede Costituente, di inventare la “Questione Meridionale” caineggiando mezza Italia, relegandola per sempre ad un ruolo subalterno all’altra metà. Ella, On. “Caino”, dimostra oggi, seduto dov’è, più di quanto effettivamente ad Ella possa sembrare; dimostra che i carnefici del popolo si nascondono sempre dietro sinistre idee. Provi a fare un esame di coscienza e magari subito dopo vada a bussare e si faccia ospitare, a medesime condizioni, in uno di quei luoghi ameni come Pianosa o l’Asinara ove allora, giovin fanciullo, Ella non ebbe modo di esser ospitato, pur avendone diritto, e dove invece tanti siciliani e campani in tutte le epoche, fasciste o repubblicane, furono ospiti, sovente senza averne diritto.


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giovedì, febbraio 01, 2007

Cosa Nostra: Russia's version



"Minchia Don Salvo non siete nessuno, e se questi non avevano i comunisti che non li facevano muovere, voi manco saresti esistiti; Don Salvo vede come è bella la democrazia e il proibizionismo. Voscenza benedica"



MAFIA RUSSA TENTACOLARE, 184 I PADRINI (di Claudio Salvalaggio)
tratto da www.ansa.it
L'Italia sarà anche la culla della mafia, come si era sfogato il presidente Putin al consiglio europeo di Lahti con chi tentava di dargli lezioni di democrazia, ma la Russia sembra aver fatto tesoro della lezione del Padrino in poco tempo. I numeri snocciolati dal ministero dell'interno rilanciano l'allarme per un fenomeno che, esploso dopo la dissoluzione dell' Urss, ha saputo evolversi, infiltrandosi nei gangli vitali della vita economica, e a volte politica, del Paese.

"La mafia invincibile? E' solo un mito", assicura al quotidiano Izvestia il generale Aleksandr Elin, vicecapo del dipartimento per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo del ministero dell'interno. I dati, però, sembrano smentirlo: 446 gang con un esercito di circa 12 mila uomini, 184 "padrini" in circolazione, oltre 2000 siti industriali sotto il controllo della criminalità organizzata, di cui il 20% circa di imprese molto importanti. Per non parlare dei reati economici dello scorso anno, in crescita del 7% rispetto al 2005: 37 mila, di cui un terzo legato alla corruzione, un fenomeno dilagante che pervade tutta la società, fino ai livelli più alti dell'amministrazione pubblica. Delle 446 bande mafiose, inoltre, le nove più potenti hanno agganci con altre organizzazioni criminali a livello internazionale, mentre 50 hanno contatti interregionali, all'interno dello sconfinato territorio russo. Le altre sono gang locali, ma non per questo meno pericolose. Certo, come sottolinea Elin in sintonia con il viceministro degli interni Oleg Safonov, alcuni risultati nella lotta alla mafia sono stati ottenuti: lo scorso anno sono stati arrestati 47 "boss", di cui 33 già rinviati a giudizio e quattro espulsi. Altri 40 stanno scontando una pena detentiva in galera. Sempre nel 2006, sono state sgominate 200 società che finanziavano gruppi criminali. "Un duro colpo per la mafia", ha commentato Safonov.

Il problema, come ammette il ministero dell'interno, è che ormai anche la "piovra" russa ha fatto il salto di qualità, approdando allo stadio dei "colletti bianchi". Dopo il far west dei primi anni, ora punta dritto alla vita economico-finanziaria del paese, piazzando capitali e uomini in banche, aziende, società di ogni tipo. E rincorre, e condiziona sempre di più, la vita politica, cercando di occupare posti di potere. A volte si allea anche con organizzazioni terroristiche estremiste. Pure il profilo del boss mafioso è cambiato. Il vecchio codice che imponeva una vita in clandestinità, senza tetto né famiglia né proprietà, è stato superato dai tempi. Adesso il boss si presenta alla luce del sole come un imprenditore disinvolto, dedito alla beneficenza e spesso con ambizioni politiche. E le sue sono "proposte che non puoi rifiutare", come vuole la tradizione del Padrino. Le aree più a rischio sono la regione di Mosca, l'estremo oriente russo, la regione del Volga e il Caucaso del Nord. L'allarme è serio, come continua a ripetere Putin, che anche oggi ha invitato a rafforzare la lotta contro la corruzione e i crimini nella sfera economica: ne va della reputazione della Russia, "come Paese con un ambiente economico civilizzato", ha ammonito.

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La giustizia deviata


di Mauro Mellini da www.giustiziagiusta.info

Cercando una parola, un aggettivo, che meglio, o, almeno, con maggiore approssimazione, definisca il male oscuro della giustizia italiana, quello, per intenderci, da cui derivano tutte le incongruenze, le deficienze, le prevaricazioni e gli abusi, ci è accaduto di scegliere, ma meglio sarebbe dire, di imbatterci, in un aggettivo: “deviata”. Termine non nuovo anche per ciò che riguarda malefatte e malformazioni di istituzioni. Se ne fece largo uso, a proposito e, magari, ancor più a sproposito, con riferimento ai Servizi di Sicurezza “deviati” ed anche della “Massoneria deviata”. Per questo e per molti altri motivi (pensiamo al sostantivo “devianza” ed alla contiguità logica con “eresia” etc. etc. ed alla terribile accusa di “deviazionista” che significava morte nei regimi comunisti) non è che possiamo dircene entusiasti. Ma meglio d’ogni altro, tale aggettivo può evocare e indicare la deformazione di un organismo consistente nella sua destinazione ad altre finalità che non quelle che gli sono naturali.
La giustizia italiana non è “deviata” perché un numero più o meno rilevante e significativo di procedimenti, di inchieste, di sentenze e di provvedimenti vari è adattato ingiustamente, a causa di scopi e finalità perversi di chi li promuove ed adotta. Né può dirsi deviata per uno scadimento della moralità del decidere che si sia manifestato in molti magistrati.
La “devianza” della giustizia italiana è fenomeno assai più complesso, riconducibile al prevalere, in verità, non solo tra i magistrati, di teorie circa i compiti ed i fini della giurisdizione.
“Deviata”, si può dire, è anzitutto la cultura cui si rifà tale teoria e tutto l’atteggiamento della magistratura (come corpo e corporazione, nelle tendenze in essa prevalenti) ma anche in una parte rilevante della classe politica e degli ambienti intellettuali.
D’altra parte a percepire tali atteggiamenti ed a constatare il perseguimento di tali finalità, non siamo solo noi. Andate a consultare la rivista della corrente Magistratura Democratica degli anni ’70 e vi troverete teorizzato l’”uso alternativo della giustizia” ed altre apparentemente meno esplicite e conducenti proposizioni. Se ne parla meno oggi, che quella corrente di pensiero della magistratura associata può considerarsi egemone. Se ne parla di meno, perché, in effetti, quelle teorie hanno avuto realizzazione, essendo state più o meno consciamente accettate dalla magistratura ed anche dalle altre istituzioni dello Stato.
Compito della giustizia, dei giudici, dell’apparato giudiziario è, nello Stato moderno, quello di applicare le leggi (che spetta al potere legislativo emanare) ed accertare i fatti che ne condizionano l’applicazione. Spetta al potere esecutivo amministrare la cosa pubblica compiendo quelle scelte che sono necessarie per realizzare opere e servizi necessari alla collettività, etc.
Ora secondo la teorizzazione cui si è fatto cenno, ma ancor più, per quel che a noi più interessa, nell’atteggiamento e nella realtà della giustizia italiana, il compito ad essa assegnato secondo la classica divisione dei poteri cui sopra abbiamo fatto cenno, è considerato “riduttivo”. Sostengono i magistrati, che potremmo definire di scuola “pangiurisdizionalista”, che compito della giustizia e della loro corporazione che l’amministra, sia quello di perseguire “obiettivi di promozione sociale”. In particolare, per ciò che riguarda specificamente la giustizia penale, essi sostengono che compito della giustizia sia quello di condurre “campagne” di volta in volta contro varie forme di criminalità (terrorismo, mafia, corruzione, pedofilia, corruzione sportiva, abusivismo edilizio etc. etc.) per “sconfiggere” tali manifestazioni di patologia sociale. Interpretazione, applicazione della legge, accertamento dei fatti oltre ogni ragionevole dubbio per poter rettamente applicare le leggi sono in questa ottica, anziché un obiettivo primario ed esclusivo, un “passaggio”, più o meno un dato strumentale delle operazioni “strategiche” da realizzare con la legge, ma anche altre.
Naturalmente nessun magistrato ammetterà esplicitamente che la strumentalità di una qualsiasi sentenza o che essa sia dettata da esigenze di tali “strategie”. Ma il fenomeno è ancor più rilevante e le conseguenze ne sono ancor più gravi, perché questa finalità è inconfessata riguardo a tutti ed ognuno dei comportamenti pratici che ne derivano ed è, invece, confessabile e confessata solo in astratto e con elucubrazioni secondo le quali è la “verità” che è ricavabile da tale “contesto” della finalità della giustizia.
A questa “giustizia dei fini” o “delle strategie”, fa corona una serie di altre anomalie che caratterizzano pure la giustizia italiana e che ne discordono. Così la grottesca assurdità della pretesa obbligatorietà dell’azione penale che, stabilita senza l’indicazione delle condizioni e delle situazioni che dovrebbero far scattare l’obbligo di procedere, si trasforma in arbitrarietà ed attribuisce al P.M. un generico “potere ispettivo” alla ricerca di fatti su cui indagare, che è il sistema migliore per garantire al P.M. la facoltà di operare per la “promozione sociale”, magari necessariamente destinando, invece, al binario morto della prescrizione e rapporti su manifeste violazioni della legge penale altri procedimenti per reati ben definiti e, magari, documentati.
La giustizia così “deviata” è necessariamente una giustizia ingiusta. Già il fatto che esistano “campagne” contro questa o quella forma di criminalità e, comunque,si manifesti il potere delle Procure di andare alla ricerca di ipotetici casi di reato (indagare per trovare qualcosa su cui indagare) tralasciando, per necessità conseguente, di agire a seguito di denuncie etc., con una “selezione” del lavoro da svolgere in funzione della “promozione sociale” che al momento appaia al magistrato (e non al legislatore) quella meritevole di attenzione a scapito delle altre, rappresenta una grave ingiustizia che viola euguaglianza e parità tra i cittadini.
Ma più grave è l’altro corollario. Per una giustizia protesa al conseguimento di obiettivi “generali”, che si muove secondo “strategie” di lotta anziché secondo il più modesto ma assai più certo e sicuro binario della “troppo restrittiva” applicazione della legge e dell’accertamento della verità al di là di ogni ragionevole dubbio, l’errore nel singolo giudizio, che per il giudice “tradizionalista” e “passatista“ equivale a lesione di “tutta“ la giustizia e assurge a significato di male assoluto, per la “giustizia di lotta” o “giustizia dei risultati strategici” è un costo come un altro da pagare, che non può paralizzare la coscienza del magistrato. “Purchè il reo non scampi, il giusto péra” è proposizione in sé assurda ed orrenda, che per il magistrato “lottatore”, che persegue essenzialmente la vittoria sulla criminalità, e la “promozione sociale” e per la sua “legalità” (volutamente usiamo a sproposito questo termine, per adottarlo nel significato grottesco ad esso attribuito dai “professionisti dell’antimafia”) è criterio ovvio ed addirittura irrinunciabile per tali “campagne”! Di questa connessione tra la “devianza” della giustizia e la sua obiettiva ingiustizia e potenziale predisposizione all’errore ci siamo occupati a lungo ed in modo più esteso ed approfondito (ad esempio con il libro “La fabbrica degli errori” - manuale di patologia giudiziaria) Koiné nuove edizioni 2006).
Abbastanza per renderci conto che molto altro c’è sicuramente da aggiungere ed approfondire e che non c’è possibilità alcuna di avere nel nostro Paese una giustizia diversa, più giusta, più efficiente, più certa, se non si parte dalla constatazione di questa sua “deviazione”.
Fenomeno che non è solo italiano, ma che in Italia è incomparabilmente più grave che altrove ed addirittura caricaturale e grottesco.
Eppure, mentre in altri Paesi il fenomeno viene percepito e suscita allarme, da noi sembra che solo parlare di ciò sia reato di offesa alla Magistratura, lesa maestà.
Una colpa che non esitiamo ad assumerci.

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