Lo scenario è di per sè apocalittico e non è con interventi di basso profilo e massa inconsistente che possiamo superare il dramma .
4 cose, poche ma sostanziali riforme. Di seguito alcune elucubrazione geoeconomichepolitiche da non buttare:
I-SOSPENSIONE E LIQUIDAZIONE DELLA POLITICA DI AUSTERITA’ E DEL SISTEMA EURO
Alla politica di austerità, dopo 7 anni dallo scoppio della crisi,va sostituita una POLITICA ESPANSIONISTICA, di tipo neokeynesiano, con l’eliminazione della sciagurata politica di tagli senza limiti della spesa pubblica,e, al contrario , con l’aumento , in funzione anticongiunturale ,della SPESA PUBBLICA.
La storia e la migliore dottrina insegnano che in fase di recessione VA AUMENTATA LA SPESA PUBBLICA, esattamente come fece Roosvelt col NEW DEAL contro la crisi degli anni Trenta.
Scrive il premio nobel Paul Krugman:
“L’austerità va praticata nelle fasi di espansione, non in quelle di crisi.Il governo dovrebbe spendere di più, non di meno.Fino al momento in cui il settore privato non sarà nuovamente in condizione di rilanciare l’economia.Purtroppo si sono adottate generalmente politiche di austerità che distruggono posti di lavoro”.
La principale argomentazione di Keynes è che in un'economia funestata da una debole domanda aggregata (come nel caso della Grande depressione), con una sentita difficoltà a procedere verso la crescita del reddito nazionale, il governo – o, più in generale, il settore pubblico – ha la possibilità di incrementare la domanda aggregata tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi, fattore esogeno e finalizzato all'aumento di occupazione. Ciò potrà essere finanziato anche tramite politiche di deficit di bilancio; l'indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenterà il tasso di interesse al punto di scoraggiare l'investimento privato.
“Il momento giusto per l'austerità al Tesoro è l'espansione, non la recessione”. (da lettera al Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, 1937).
Di conseguenza,va attuata – in primo luogo-una sospensione immediata dell’intero sistema di austerità: i criteri di Maastricht, a partire dal tetto del 3% del deficit pubblico annuale;il Patto di Stabilità, a partire dal principio balordo del blocco delle spese per investimento;il pacchetto dei 6 provvedimenti UE del 2011, che consiste nell’avocazione di ogni sovranità nella determinazione delle politiche economiche statali;soprattutto, l’insensato PATTO FISCALE del 2012 ( pareggio di bilancio costituzionalizzato e liquidazione dello stock di debito pubblico a colpi di 45-50 miliardi all’anno).
Ridurre davvero il nostro debito pubblico nella misura e nei tempi richiesti dal Trattato in questione è un’operazione che così come si presenta oggi ha soltanto due sbocchi: una generazione o due di miseria per l’intero Paese; aspri conflitti sociali; discesa definitiva della nostra economia in serie D. Oppure la constatazione che il debito ha raggiunto un livello tale da essere semplicemente impagabile, per la ragione che esso deriva sin dagli anni ‘60 non da un eccesso di spesa, bensì dalla accumulazione di interessi troppo alti. Quindi si dovrebbero trovare altre strade rispetto alle politiche attuate da Monti e riproposte dai suoi successori.
Al fine di ripagare un debito a lunga scadenza in rate annuali è infatti essenziale una condizione: che il debitore, al netto di quanto spende per il proprio sostentamento, abbia ogni anno delle entrate, per tutta la durata prevista, che siano almeno pari in media a quella di ciascuna rata del debito. Nel caso del debito pubblico italiano tale condizione base non esiste. Il Pil supera i 1650 miliardi, per cui il 60 per cento di esso ne vale circa 1000. Mentre il debito accumulato ha superato i 2000. Al fine di farlo scendere al 60 per cento del Pil come prescrive il Trattato, si dovrebbe quindi ridurre il debito di 50 miliardi l’anno per un ventennio.
La cifra è di per sé paurosa, tale da immiserire tre quarti della popolazione. Ma il problema non è solo questo. È che l’interesse sul debito, al tasso medio del 4 per cento, comporta una spesa di 80 miliardi l’anno, la quale si somma ogni anno al debito pregresso. Ne segue che quest’ultimo non smette di crescere. Ora, se riduco il debito di 50 miliardi, avrò sì risparmiato 2 miliardi di interessi; però sui restanti 1950 miliardi dovrò pur sempre pagarne 78. Risultato: il debito è salito a 2028 miliardi (2000-50+78).
L’anno dopo taglio il debito di altri 50 miliardi e gli interessi di 2. Però devo pagarne 76, per cui il debito risulterà salito a 2054. Chi vuole può continuare. Magari inserendo nel calcoletto un dettaglio: l’art. 4 del Trattato prescinde del fatto che il debito di un paese potrebbe col tempo aumentare di molto, per cui l’entità del ventesimo di rientro andrebbe alle stelle. L’Italia, per dire, potrebbe ritrovarsi a fine 2015 con un Pil di poco superiore all’attuale, ma con un debito che a causa dell’accumulo degli interessi ha raggiunto i 2200 miliardi. Così i miliardi annui da tagliare passerebbero da 50 a 60.
La moratoria deve valere per tutto il tempo necessario a superare la recessione.
Frattanto,si lavora per riformare e superare l’intero attuale sistema euro.O con il ripristino delle sovranità nazionali ( sovranità monetaria, costituzionale, democratica), attraverso le necessarie e concordate tappe intermedie, o con l’immediata messa in opera della costruzione degli Stai Uniti d’Europa.
Dal punto di vista tecnico-operativo e dell’iniziativa politica immediata, le priorità possono essere:
-rompere la morsa dell’ottuso Patto di stabilità, a partire dal ripristino piena della spesa pubblica per investimenti;
-rendere piena e rapida la procedura per pagare tutti i debiti delle Pubbliche Amministrazioni alle imprese ( il calcolo approssimativo è di circa 100MLD);
-usare gran parte delle risorse dei Fondi strutturali comunitari del doppio ciclo 2007/2013 e 2014/2020 per finalità anticongiunturali, contro la recessione,snellendone radicalmente le farraginose e inconcludenti procedure di spesa.
II-REDDITO DI CITTADINANZA
L’Italia era già in declino, prima dello scoppio della crisi globale del 2007 e della successiva crisi del sistema euro nel 2010.
Sette anni di doppia crisi hanno ridotto l’Italia a pezzi:milioni di disoccupati, inoccupati, precari, poveri, emarginati. Circa metà dell’intera popolazione. Senza più reddito alcuno.Fra poco, liquefatte le residue riserve reddituali e patrimoniali,rese insormontabili le già scarse possibilità di indebitamento,erose le residue resistenze da welfare familiare,il dolore, la rabbia, il rancore di masse sterminate di cittadini, registrati anche nelle recenti tornate elettorali, si trasformerà in rivolta aperta, da mettere a rischio la già gracile democrazia italiana.
Non c’è tempo per attendere i tempi della ripresa e della crescita eventuali.
Occorre un intervento sociale di emergenza.
E l’unica formula adottabile, ottimamente sperimentata e strutturata in altri Paesi,è quella del REDDITO DI CITTADINANZA.
Da finanziare con la spesa pubblica in deficit, secondo il modello Roosvelt degli anni Trenta. Prima che sia troppo tardi.
Un reddito minimo garantito o di cittadinanza (in inglese guaranteed minimum income, abbreviato GMI) è storicamente un reddito versato da una comunità a tutti i suoi membri su base individuale.
Il concetto di massima di "reddito di cittadinanza" è che esso consiste in un reddito versato individualmente a coloro che non hanno un patrimonio sufficiente per soddisfare e coprire i bisogni di base (casa,spese per la casa,istruzione,sanità e cibo) e soprattutto una forma di sostegno del reddito finalizzata alla protezione di chi ha difficoltà di inserimento nel tessuto produttivo. In alternativa, invece, si può o deve essere disponibili di svolgere servizi di volontariato quando possibile.
Una garanzia la quale è anche uno dei fondamenti – almeno teorici-del Modello sociale europeo e che l' UE cita inoltre nella direttiva 92\411, dove al momento mancano ad aderire solo Grecia ed Italia, i quali sono appunto ancora sprovvisti di questo strumento.
Un sistema di reddito minimo garantito può essere composto da diversi elementi, in particolare:un salario minimo, sia fissato dalla legge o derivanti da negoziazioni tra datori di lavoro e sindacati;un calcolo del minimo sociale;una rete di sicurezza, per aiutare i cittadini o le famiglie senza mezzi finanziari sufficienti sopravvivere al minimo sociale. Questo può essere un trasferimento ed è generalmente subordinata o alla disponibilità di eventuali offerte di lavoro oppure alla scelta di prestazioni di volontariato per servizi per la comunità;mantenimento dei figli da parte dello Stato;Prestito di studio e borse di studio;pensione statale per gli anziani a prescindere dai contributi versati.
Il Reddito minimo di cittadinanza (o "reddito minimo garantito") è una forma di sostegno a coloro che, per viarie ragioni, hanno difficoltà ad inserirsi nel tessuto lavorativo, quindi una tutela mai elargito a tutti, ma è garantita ed è concessa soltanto agli individui che si trovano al di sotto di un determinato reddito. Può essere cumulabile anche con un reddito di lavoro se quest'ultimo non raggiunge la cosiddetta soglia "minima".
Vi è la formula specifica del Reddito Minimo di Cittadinanza Attiva, così chiamato perché legato ad una soglia di reddito e in caso di stato di disoccupazione è legato ad un percorso di semi-volontariato dove il soggetto può rendersi utile a livello sociale.
In EU la maggior parte dei paesi moderni hanno infatti il reddito minimo garantito (con le uniche eccezioni di Grecia ed Italia).Negli stati membri dell'Unione Europea, esistono varie forme di reddito minimo garantito o reddito di cittadinanza.In Belgio esiste un cosiddetto reddito d'integrazione ("revenu d'intégration", fino al 2002 chiamato minimex, cioè "minimum de moyens d'existence"), e si configura come un aiuto finanziario sociale soggetto a diverse condizioni, fra cui la disponibilità a lavorare, tranne quando sorge l'impossibilità per motivi di salute.In Lussemburgo è chiamato Revenue Minimum Guaranti ed è un riconoscimento individuale «fino al raggiungimento di una migliore condizione personale».In Austria c'è la Sozialhilfe, un reddito minimo garantito che viene aggiunto al sostegno per il cibo, il riscaldamento, l'elettricità e l'affitto per la casa.In Norvegia c'è lo Stønad til livsopphold, letteralmente "reddito di esistenza", erogato a titolo individuale a chiunque senza condizione di età.Nei Paesi Bassi ce ne sono due tipi. Il primo è il Bijstand, un diritto individuale e si accompagna al sostegno all'affitto, ai trasporti per gli studenti, all'accesso alla cultura. Il secondo è il Wik, un reddito destinato agli artisti per «permettere loro di avere tempo di fare arte».In Germania vi è lo Arbeitslosengeld II, comunemente anche chiamato Hartz IV, ne ha diritto chi ha versato un anno di contributi e chi ha ottenuto un anno di disoccupazione el’"Arbeitslosengeld I", anche a chi non trova lavoro dopo la propria formazione scolastica o universitaria. Garantisce una minima per coprire i costi di vita, l'affitto e in parte il riscaldamento, per garantire una dignitosa dimora al cittadino. In Gran Bretagna, c'è lo Income Based Jobseeker's Allowance, una rendita individuale illimitata nel tempo, rilasciata a titolo individuale a partire dai 18 anni di età a tutti coloro i cui risparmi non siano sufficienti per un dignitoso tenore di vita. Viene inoltre garantita la copertura dell'affitto (Housing benefit). In Inghilterra vi è anche un incentivo alle famiglie; infatti, esistono assegni familiari per il mantenimento dei figli nel caso ce ne siano. Sempre per quanto riguarda i figli vi è un sussidio rilasciato direttamente ai ragazzi per coprire le spese dei loro studi (la Education Maintenance Allowance). Infine vi è l'Income Support, un sussidio di durata illimitata, garantito a chi ha un lavoro che ammonta a meno di 16 ore settimanali.In Francia vi è il Revenu de solidarité active (RSA).In Italia, malgrado alcune proposte in tal senso , non vi è alcuna legge che regoli il reddito minimo garantito.
III-RIPRISTINARE E PRATICARE L’OBIETTIVO DELLA PIENA OCCUPAZIONE E VARARE UN PIANO TRANSITORIO PER IL LAVORO
Nel trentennio d’oro (1945-75) delle democrazie occidentali,il vero principio costituzionale cardine unificante, sia in termini di costituzione formale ( come in Italia) sia di costituzione materiale,è stato quello della PIENA OCCUPAZIONE.
E’ questo il principio e l’obiettivo operativo da ripristinare.
Piena occupazione significa piena crescita e massima ricchezza producibile, massimo Prodotto Interno Lordo possibile.
Il governo italiano deve varare e finanziare un Piano transitorio per la PIENA OCCUPAZIONE, operante fino alla completa fuoriuscita dalle recessione.
Il modello cognitivo e operativo da ripristinare è il seguente:IL LAVORO SI CREA AUMENTANDO I CONSUMI E GLI INVESTIMENTI pubblici e privati, cioè riattivando la cosiddetta DOMANDA AGGREGATA (di consumi e investimenti). E, riattivando, in primis ,la spesa pubblica. Il resto è aria fritta.
Il Piano transitorio per la Piena Occupazione, sotto il profilo dei settori prioritari d’intervento, si concentrerà su:
-un piano di MANUTENZIONE DEL TERRITORIO ordinaria e straordinaria ( assetto idrogeologico, ambiente,edilizia scolastica,beni culturali diffusi,qualità della vita nei grandi quartieri popolari urbani, a partire dalle metropoli del Sud). Con un conseguente e poderoso rilancio dell’edilizia manutentiva e di qualità, che è un notorio e sperimentato moltiplicatore economico;
-un piano nazionale di supporto a tutti SERVIZI SOCIALI gestiti dagli enti locali,a partire da quelli destinati alla terza età e all’infanzia;
-un piano nazionale di promozione diffusa di ENERGIE ALTERNATIVE , di risparmio energetico e di bioedilizia.
IV-RILANCIARE LO STATO SOCIALE DI QUALITA’ E LA DIGNITA’ DEL LAVORO PUBBLICO
Il secondo cardine del modello sociale europeo,oltre la Piena Occupazione, è consistito nella promozione di un forte e qualificato Stato Sociale:pensioni, scuola, sanità, servizi sociali e assistenza.
Lo Stato Sociale italiano, non solo non va ulteriormente ridotto e degradato,e delegittimato, ma va rilanciato,potenziato e qualificato.
La spesa sociale italiano è superiore, per quantità, a quella degli altri Paesi più avanzati.
Il numero dei LAVORATORI pubblici italiano no è superiore a quello degli altri paesi avanzati.
Il problema non è di quantità , ma di qualità.
C’E’ BISOGNO DI UNO STATO SOCIALE ITALIANO DI QUALITA’.
Vi è bisogno di correggere gli squilibri e i deficit strutturali, sostituendo ad un cattivo sistema di assistenza un vero sistema di REDDITO DI CITTADINANZA.
Vi è bisogno di un investimento strategico sul futuro, e cioè sulla SCUOLA, formazione, università , ricerca, innovazione. Questo è il nuovo settore pulsante del welfare state del XXI secolo.
Vi è bisogno, non di tagliare , ma di EFFICIENTARE LA SANITA’, a partire dalla sua integrale informatizzazione.
Vi è bisogno di rimotivare e formare l’intera platea del PUBBLICO IMPIEGO,attraverso sistemi di formazione continua e di informatizzazione integrale, assorbendo definitivamente e qualificando integralmente tutte le sacche eterne di precariato.
Con un SETTORE PUBBLICO,e un lavoro pubblico, da oltre trentanni, delegittimato, degradato, anche criminalizzato, non si va da nessuna parte.
Uno Stato sociale di qualità è il vero motore dello sviluppo e della competitività.
Soltanto i talebani del neoliberismo più ottuso e virulento non lo capiscono e non lo vogliono. Vanno combattuti e sconfitti.
Il settore pubblico italiano va difeso, rilegittimato, potenziato e, quindi qualificato e modernizzato.
In particolare, AL LAVORO PUBBLICO VANNO RESTITUITITI TUTTA LA DIGNITA, L’ONORE E IL DECORO CHE MERITA.
Contro il paradigma neoliberista stupido, regressivo e sfascista.
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